Lettera
Aperta
di Beatrice Taboga
Questa
lettera è maturata alla fine della mia partecipazione
a un corso di formazione organizzato dall'ADVAR di
Treviso, un'associazione che opera da 15 anni in quella
città e che si occupa principalmente di assistenza
volontaria gratuita ai malati terminali e alle loro
famiglie.
È nell'ambito di tale associazione che è
maturata l'esigenza di formare delle persone preparate
anche a sostenere chi ha subito un lutto, per elaborare
tale esperienza.
Il progetto a tal fine elaborato prevede l'iter di
formazione permanente delle persone interessate ad
avvicinare l'argomento del lutto, del cordoglio e
della perdita legate alla morte.
Il percorso formativo è stato suddiviso in
due livelli.
Al primo livello possono accedere tutte le persone
che ne facciano richiesta, senza discriminazione alcuna,
e consiste in seminari periodici, lo scopo dei quali
è la sensibilizzazione preliminare delle persone
interessate e l'offerta delle conoscenze teoriche
fondamentali sull'argomento. Sono state messe a disposizione
dei corsisti le dispense, una biblioteca di consultazione
e una bibliografia con la segnalazione delle opere
di maggior interesse.
L'aspettativa era quella di riuscire a formare in
tal modo un gruppo abbastanza ampio di persone in
grado di interagire positivamente nella comunità
locale di appartenenza con le persone portatrici di
una sofferenza legata al lutto, in maniera informale
e a prescindere da interventi specifici o specialistici
o dall'inserimento in gruppi di auto aiuto.
Le persone che hanno concluso la formazione teorica
possono quindi accedere al secondo livello formativo,
che è quello che consente di divenire operatore
dei gruppi di Rimanere Insieme.
Il secondo livello si basa sul principio del "learning
and doing" e del lavoro di gruppo anche per l'approfondimento
delle competenze degli operatori e per la prevenzione
del
burn out. Si articola in tre diverse attività:
frequenza di un gruppo di auto aiuto già operativo,
per quattro settimane consecutive; partecipazione
agli incontri mensili degli operatori; partecipazione
ai seminari di aggiornamento.
Gli incontri, avvenuti con cadenza settimanale dai
primi di maggio a fine
giugno scorso, prevedevano una lezione frontale a
più voci, seguita da lavoro in due gruppi e
plenaria conclusiva. La sede di lavoro era quella
dell'ADVAR Piazzale Pistoia 8, 31100 Treviso e
si sono articolati sull'approfondimento delle seguenti
tematiche:
Inquadramento socio-ambientale;
l'approccio culturale;
il progetto di "Restare Insieme";
Il morire e la morte: l'approccio medico e psicologico;
Il morire e la morte: l'approccio religioso e laico;
La preparazione al lutto (perchè i vivi si
preparino....);
La sofferenza di chi resta: il cordoglio, le fasi
classiche;
La relazione di aiuto;
I gruppi di auto aiuto.
ALLE
MIE COMPAGNE E COMPAGNI DEL GRUPPO DI AUTO-AIUTO
A GIGI COLUSSO
ALL'ADVAR DI TREVISO
Mi sono permessa di mettere per iscritto alcune riflessioni,
che vorrei condividere con voi tutti.
Si concluderà stasera questa esperienza che
ci ha visti stare uno accanto all'altro, vicini all'altro,
in ascolto, aperti ad accogliere, ogni settimana sempre
più vulnerabili da un lato, sempre più
morbidi, aperti e sensibili dall'altro.
Mi sento meno forte di qualche settimana fa, quando
vi ho incontrati per la prima volta, ma forse sono
solo più consapevole della mia fragilità
nell'incontro con la sofferenza profonda, radicale
che nasce dalla perdita irreparabile delle persone
che più amiamo. L'incontro con alcune persone
tra di voi mi ha fatto sentire prima inadeguata, poi
mi ha fatto percepire quanto la mia sensibilità
sia a volte grossolana, mi ha fatto ammutolire e la
paura che anche a me potesse accadere di perdere un
figlio e di vivere quindi il vostro stesso dolore,
la vostra stessa angoscia, mi ha fatto desiderare
di allontanarmi, di non sentire e vedere......
Potevo, volevo essere capace di accogliere tanta sofferenza?
Non potevano esserci parole?
Poteva esserci consolazione?
Ne ho profondamente dubitato...
Volevo ringraziare il dottor Colusso perché,
quando gli ho accennato a questi miei stati d'animo
mi ha risposto: "Li attraversiamo tutti questi
stati d'animo, è successo anche a me ed è
perché siamo abituati a 'fare' e a 'dire' sempre
qualcosa... invece bisogna imparare che in certi momenti,
quando non sappiamo che dire, che fare, non faremo
né diremo nulla... e staremo lì aperti,
ad ascoltare e basta...".
Ho scoperto che questo stare come sospesa, con l'animo
aperto, lasciava emergere in me tanta vulnerabilità,
tanta inadeguatezza, che però si accompagnavano
a un sentimento di accoglienza, all'inizio timida
e titubante. Ma, giorno dopo giorno, spontaneamente
ho sentito che si andava alimentando dentro di me
una 'comunanza', un 'sentire insieme', che è
diventato piangere insieme le stesse lacrime, riconoscere
le stesse emozioni, avere il coraggio di ricevere,
senza filtri, difese, resistenze, quel dolore, che
in certi momenti ho sentito attraversarmi il cuore,
la pancia, le ossa, i muscoli...
Volevo ringraziare il coraggio con cui alcune mamme
hanno rivissuto con noi certi momenti, la generosità
con cui si sono mostrate nella loro verità,
la fiducia che hanno concretamente riposto in noi,
non ancora così feriti, lì, presenti
e muti, mentre mi sentivo - io, con i miei figli ancora
vivi - essere quasi una provocazione, l'evidenza di
un'ingiustizia.
In loro mi sono vista, rispecchiata, sentita.
Ho capito con voi perché la relazione di aiuto
si riassume nel bisogno di amare e di essere amati,
perché la compassione è un sentirsi
profondamente uguali, e insieme, nasce da questa comunione
ed è il risultato di un incontro, di un riconoscimento,
dell'esperienza della non separatezza, è il
provare a sollevare e sostenere tanto dolore, con
i nostri cuori aperti a condividerlo.
Ho sperato tante volte, durante queste settimane che,
almeno un po', solo un po', anche voi abbiate potuto
sentire il dolore più leggero, il peso tremendo
un po' condiviso.
Vi ho pensati spesso, e ogni volta che vi pensavo
sentivo che vi volevo bene e che mi volevo un po'
pi bene, che affetto e gratitudine e più coraggio
fluivano forte dal mio cuore verso il vostro cuore.
In quei momenti non sentivo più la separazione
tra tu ed io, voi e noi.
La vita scorre grande, immensa, come un grande fiume
impetuoso, a momenti travolgendoci, a momenti cullandoci.
I nostri incontri sono stati come ampie anse del fiume
dove poterci fermare un attimo, riprendere fiato,
riposare un po', sorriderci tra le lacrime, alzare
gli occhi ed accorgerci della bellezza che ci circonda,
dentro e fuori di noi, dentro e fuori degli altri,
attorno a tutto e a tutti noi che ci siamo e a coloro
che non ci sono più.
E quando la divisione scompariva, i sentimenti si
trasformavano in un estatico silenzio di apprezzamento
e in gratitudine.
Volevo ringraziare dal profondo del cuore il dott.
Colusso per le cose preziose che ci ha regalato e
siccome - come ha detto lui - il dono si dimentica,
volevo che tutti noi provassimo invece a non dimenticare
quanto ci ha detto, frutto palpabile di un immenso
dolore accettato, incorporato, digerito e trasformato.
Sento che ciò che ci ha regalato è già
molto più di un seme e che continuerà
a maturare e a crescere col tempo.
La morte può essere un punto di svolta. Possiamo
comprendere l'irreversibilità di ciò
che ci è accaduto e di come sia un 'dono'.
È difficile accettare che tutto quello che
la vita ci dà è 'dono'. È importante
sapere che c'è un senso nella vita ed è
importante ricercarlo: tutti abbiamo i nostri lutti,
quanto meno la perdita della giovinezza, quindi tutti
siamo in ricerca.
Quando ho definito la morte che ci ha colpito un 'dono'
non volevo che fosse una provocazione, ho solo cercato
di esprimere qui quello che io sento, come io 'sento'
oggi.
Il dono è il frutto maturo dell'esperienza
della sofferenza.
Quando si è percorso tutto il cammino si guarda
da fuori e si vede: non è stata una rapina
quella che abbiamo subito, c'è una fecondità,
che ci sarà sempre sconosciuta se non passiamo
attraverso questi territori, che ci permettono di
scoprire il patrimonio dei significati che ci sono
stati trasmessi.
La vita ci è stata data come dono e quindi
non può essere mercanteggiata, neanche per
un attimo, non è discutibile, non è
interpretabile...
Vi ho solo offerto quella che sto cercando di usare
come chiave di lettura di tutto ciò che la
vita ci mette davanti. Il senso della nostra vita
è come un mosaico, ma come possiamo ricomporlo,
conoscerlo e riconoscerlo, se rifiutiamo alcune tessere
perché sono troppo pesanti?
C'è chi dice che la vita è fatalità,
è dono, è condivisione del divino......
Comunque, si deve accettare quello che c'è,
così com'è.
L'importante è maturare la capacità
di accettare la vita utilizzando le possibilità
umane che tutti noi abbiamo, e questo per non consegnare
le persone, che non la riconoscono come dono, alla
disperazione.
Dobbiamo vivere il lutto come un dono o dobbiamo cercare
il dono nel lutto?
Forse, la vita di chi ci è stato accanto è
di per sé un dono; meglio averla avuta che
non averla avuta: ho goduto, gioito, assaporato, condiviso
quella vita. Ora la mia sofferenza nasce dal fatto
che quella vita non c'è più.
Parlo di 'dono', perché lo sento diverso dallo
'scambio', che presuppone una relazione con l'altro.
Il dono contiene in sé il dono dell'oblio,
va dimenticato; è frutto di una relazione unilaterale.
Mi sembra che comincio a vedere la relazione da un'altra
prospettiva; faccio i conti con ciò che rimane.
Mi pare che pensare in termini di 'dono', vuol dire
pensare in modo più leggero.
Sento che il dono è associato alla gratitudine:
sento che quando non sei dipendente dal bisogno (che
crea dipendenza, limitazione e chiusura), quello che
dai è nella dimensione del dono., e allora
c'è scambio, comunicazione, ascolto e comprensione.
Allora, l'altro risveglia in noi una coscienza di
esserci, di essere qui, ora.
Ognuno di noi fa un percorso e, facendolo, incontra
persone, cose e tutto gli è donato.
La relazione di aiuto, l'aprirsi all'altro, può
far vibrare qualcosa che è già presente
in noi, qualcosa che è una 'potenzialità
d'amore'.
Ma un dono è anche 'mistero', e uno non se
lo aspetta. Come si può dire, in questi casi:
"È la 'Provvidenza'?"
Forse, solo quando se ne è fuori si può
capire la perdita come dono, perché dopo quella
perdita hai trovato altre risposte, hai visto e percorso
altre strade, hai sperimentato altra gioia.
Qualcuno, nel gruppo di cui ho fatto parte, ha detto
una cosa bellissima: "Accettare un dono, a volte
è un dono".
Ora vi voglio dire solo grazie di esistere e grazie
alla vita di avermi fatto questo regalo: conoscervi,
conoscerci a aver fatto questo cammino insieme!
Con tanto affetto,
Beatrice
IL
CIRCOLO SHANTI
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