Yoga e tossicodipendenza
di Rossana Mattiussi


UN'ESPERIENZA SVOLTA AL CENTRO DIURNO 'META' DEL SERT DI UDINE

Questa esperienza diventata dopo tre anni di pratica, una situazione continuativa è iniziata nel 1997 presso il Centro diurno 'Meta' del S.E.R.T. di Udine. In questa sede vengono assistiti ragazzi che provengono da esperienze di tossicodipendenza e che, una volta disintossicati, vengono seguiti nella delicata fase di 'recupero' e di reinserimento.
Il mio lavoro all'interno di questa struttura, si inserisce nel progetto di tutta l'équipe di sostegno (composta da medici, assistenti sociali, psicologi) che opera per aiutare i ragazzi a trovare la forza e le motivazioni per ricominciare a vivere senza la dipendenza dalle sostanze. Si tratta, a mio avviso, di una situazione molto stimolante e ricca di proposte utili oltreché piacevoli (laboratori di ceramica, falegnameria, ideazione e creazione di video, sport di vario tipo e attività culturali) guidate in un contesto aperto e accogliente nel quale sia operatori che assistiti, si trovano a collaborare in una atmosfera positiva e rilassata.
Non ho avuto quindi difficoltà a utilizzare modalità comunicative, basate sull'immediatezza e sull'ascolto, che mi hanno permesso di capire e di presentare ai ragazzi le cose che mi sembrava avessero bisogno e piacere a sperimentare.
Pur svolgendo il mio lavoro di insegnante di educazione fisica e di yoga nelle istanze più varie (nella scuola, con le donne in gravidanza, con i malati di sclerosi multipla, con i subacquei...) non mi era mai capitato di avere a che fare con questa fascia di utenza ed ero piuttosto incerta in merito alle 'strategie' da adottare.
Come avrebbero reagito dei ragazzi 'disincantati' e ancora in difficoltà - spesso anche fisiche - di fronte a una disciplina che insiste sulla presenza, sull'ascolto e la cura di sé, sull'equilibrio psico-fisico, sulla possibilità di approfondire la relazione con se stessi e con gli altri?
Stando insieme a loro mi sono ben presto resa conto del disagio che può attraversare un corpo dimenticato e maltrattato, abituato a non contare più sulle proprie risorse; corpi giovani indeboliti, confusi e ripiegati su se stessi, poco propensi a esprimere vitalità e a credere nelle proprie potenzialità, poco o nulla disposti a esprimersi o ad ascoltarsi e, soprattutto, ad aprirsi, a fidarsi, a volersi bene.
Ed è proprio da qui che è iniziato il nostro lavoro: sentire che è possibile essere a proprio agio nel corpo, che può essere addirittura piacevole riuscire a rilassarsi attraverso l'ascolto del proprio respiro; se lo sappiamo contattare, il corpo, il corpo può rispondere positivamente ed il respiro farci sentire che siamo vivi e che possiamo trovare subito dentro di noi le risorse per stare - almeno un po' - meglio!
È proprio questo, a mio avviso, uno dei bisogni più urgenti per questi ragazzi: stare almeno un po' meglio... respirare senza che il respiro sia una fatica, riuscire ad accettare gli acciacchi di un fegato maltrattato che grida vendetta, i dolori alle ossa... il mondo che finalmente riesci a rivedere che ti crolla addosso da tutte le parti, puntando spesso le dita sulle tue debolezze, superando l'istinto di narcotizzare subito questo maledetto gomitolo di dannato malessere nel modo più semplice!
A chi mi parla di persone demotivate e difficili da raggiungere io rispondo che non ho avuto questa sensazione e che, semplicemente partendo dal loro bisogno di stare bene (o semplicemente di non stare così male...) e dalle infinite possibilità che il mio lavoro mi consente, dai ragazzi della comunità ho avuto molto, soprattutto per quanto riguarda il piacere di lavorare insieme, di entrare in relazione in modo semplice e sincero, di avere davanti persone curiose ed impegnate seriamente... anche di fronte alle proposte più insolite (suoni, esercizi di contatto, posture, massaggi... silenzio).
Dal punto di vista 'professionale' è stato piuttosto interessante applicare i principi dello yoga a questa situazione così particolare e specifica, scoprire le modalità più appropriate... che consentissero di lavorare sulle sensazioni nonostante l'inevitabile uso di farmaci pesanti. Soprattutto all'inizio, tutto avviene attraverso "l'occasione del corpo" vissuto come il punto di riferimento più solido, più facile da contattare, più tangibile... anche come strumento rilevatore di disagi.
Ho notato frequenti, dolorosi blocchi relativamente alla zona del diaframma e del plesso solare, corpi contratti, poco flessibili e al contempo poco radicati, poco tonici, scarichi, che sembravano rinascere e ammorbidirsi nel piacere di muoversi con dolcezza o sciogliersi attraverso l'esperienza del rilassamento.
Un altro aspetto frequente: la difficoltà di coordinare dei movimenti dovuta soprattutto a una situazione diffusa di rigidità, con notevole resistenza iniziale a lasciarsi andare, e difficoltà iniziali nel rapportarsi con il respiro (frequente tendenza all'apnea e al 'respiro corto') che si risolveva spesso dopo aver familiarizzato, preso confidenza, giocato con le varie opportunità respiratorie (esplorazione del respiro, del suo ritmo, dei suoi luoghi... delle sue modificazioni in relazione ai diversi stati psicofisici).
Siamo in luglio e anche il mio lavoro con i ragazzi farà una piccola sosta per riprendere in settembre, con altre facce, altri nomi... probabilmente con problemi e stai d'animo simili. Vorrei ringraziare questi ragazzi e tutti quelli che verranno, per l'occasione che mi regalano di essere così profondamente a contatto con la vita... una, tante vite che possono esaurirsi o ricominciare, appassire velocemente o ritrovare uno... tanti motivi per trasformarsi e rifiorire.