Scarabocchi e risorse creative nel malessere della normalità

SENSIBILI ALLE FOGLIE


IL MALESSERE DELLA NORMALITÀ
In Italia negli ultimi dieci anni il consumo di cerebrofarmaci è triplicato. Nell'ultimo anno sono stati venduti 5 milioni di antidepressivi, 3 milioni di ansiolitici, 2 milioni di pillole antipanico, e sonniferi a volontà. L'uso degli psicofarmaci è cresciuto del 48% e quello degli antidepressivi del 40,5%. Per un nuovo mercato di duemila miliardi. Se assumessimo questo consumo come analizzatore del malessere della normalità ci apparirebbe chiaro che esso manifesta un sintomo più che una patologia: il desiderio insopprimibile di estraniazione, di fuga da un mondo che produce anzitutto sofferenza.
Una delle più antiche storie di questa civiltà, che oralmente già veniva tramandata almeno quattromila anni prima di Cristo, inizia col racconto del combattimento tra il sovrano della città di Erech, Gilgamesh, e il selvatico Enkidu, che non essendo mai entrato nella città degli uomini era in tutto simile agli animali. Questa coppia di combattenti, d'intensità archetipale, racchiude il codice genetico di un dispositivo relazionale che ancora oggi orienta naturalmente il nostro sguardo.
Gilgamesh ed Enkidu, rappresentano rispettivamente l'incluso nella città degli uomini e l'escluso. Il primo per due terzi divino e per un terzo umano, il secondo senza condivisioni umane e ancor meno divine.
S'è dunque progressivamente consolidato e "naturalizzato" nella nostra civiltà un dispositivo relazionale fondato sulla dicotomia inclusione-esclusione. In questa dicotomia gli esclusi non sono soltanto gerarchicamente inferiori agli inclusi; assai peggio essi sono privati della loro qualità specifica di esseri umani. Gli inclusi, a loro volta, sono tali per conformità al mito identitario che la comunità s'è data per perimetrarsi.
Questo processo di inclusione implica anche una sommersione dell'identità individuale da parte dell'identità di gruppo, che produce a sua volta una prima dissociazione foriera di malessere per la persona che la vive.
Il dispositivo d'inclusione-esclusione non ricade quindi solo sui soggetti collocati fuori dal muro della città. Ognuno di noi è nello stesso tempo, in qualche modo, conformato ed escluso. Conformato nell'identità adattativa, escluso in quelle particolari configurazioni identitarie che egli dissocia al suo interno, perché il suo intorno sociale le riprova.
L'esperienza di questa restrizione è ciò che anche chiamiamo malessere della normalità; un malessere che mentre segnala una condizione di imprigionamento, c'invita a liberarcene.

LA MOSTRA
Con questa nuova mostra itinerante Sensibili alle foglie amplia la sua ricerca dalle forme espressive delle persone recluse nelle istituzioni totali, alle risorse creative nel malessere della normalità.
In ogni istituzione ordinaria (famiglia, scuola, mondo del lavoro e del tempo libero, istituzioni politiche e della salute) sono potenzialmente all'opera quei dispositivi relazionali mortificanti che caratterizzano le istituzioni totali.
Qualora essi trovino, nelle dinamiche istituzionali, condizioni favorevoli per manifestarsi, uno o più attori di quella specifica istituzione subiranno una vasta gamma di torsioni, alle quali tenderanno a sottrarsi dissociandosi in varie forme dalla loro condizione. Lo scarabocchio, prima ancora della scrittura, del disegno o del dipinto spontanei, appare come la più comune delle risposte dissociative a questo malessere e delle risorse creative per affrontarlo.
La prima rassegna viene proposta al pubblico nel quadro del progetto dell'Amministrazione Provinciale di Napoli denominato Cantieri sociali. Essa viene infatti accolta in tre centri che fanno riferimento a questa rete e che operano in aree di particolare disagio sociale dell'interland Napoletano.
Lo scopo di questa collaborazione sta nel favorire una maggior consapevolezza sociale ed un'ecologia delle relazioni umane che non mortifichi la persona.
La mostra si compone di circa trecento pezzi. L'itinerario espositivo prevede grandi aree tematiche riferite ad alcuni contesti istituzionali: la scuola, innanzitutto, con un'esposizione di scarabocchi, ma anche di scritture, tags ed altri linguaggi, tracciati su diversi supporti: agende scolastiche, borse, banchi. La mostra ospita anche una porta graffita, donata dall'Istituto E. Fermi di Tivoli (RM) ed una scultura di alcuni studenti di quello stesso istituto.
Oltre ai linguaggi espressivi degli studenti e alle scarabografie degli insegnanti, sono esposte scrizioni prodotte in diversi contesti lavorativi o durante convegni e riunioni politiche o semplicemente al telefono.
Nascita, morte, adolescenza e solitudine emergono nell'itinerario espositivo come momenti della vita che uno scarabocchio può aiutare ad attraversare con maggior consapevolezza.
La mostra propone ancora scritti e opere di alcune persone ricoverate in una casa di cura per anziani di Nemi (Rm) ed alcuni "scarabocchi d'autore" introducono al rapporto tra scarabocchi e mondo dell'arte.
L'intera rassegna è interpretata anche come un cantiere aperto. Durante ogni mostra, infatti, verranno raccolti scarabocchi ed altri materiali che potranno arricchire l'esposizione.

LA RISORSA SCARABOGRAFICA
Si scarabocchia un po' tutti. Ovunque. In pubblico e in privato. Su fogli delle agende. Sul margine dei libri. Sulla pelle del corpo. Sulle scarpe da tennis. Sui pacchetti di sigarette. Sulle banconote. Nessun materiale si salva dall'irruzione degli scarabocchi. Neppure la scrittura. Che, anzi, dallo scarabocchio viene per prima contestata.
Segno straniero, il suo luogo è sempre fuori luogo. Altrimenti non è più scarabocchio. Scrittura di isolamento e di rifugio, in apparenza, lo sfogo consentito dagli scarabocchi libera invece la tensione accumulata nel vissuto di una situazione relazionale irritante. Traccia il deflusso di una identità dissociata in eruzione. Scioglie, come un appropriato respiro, il grumo imprigionato di un'angoscia.
Due identità parlano frequentemente attraverso le scarabografie di Rosa: una si chiama Alias, l'altra Ariel: lo spirito dell'aria shakespeariano. Entrambe comparvero durante l'adolescenza, quando Rosa cominciava ad avere la netta sensazione d'essere invisibile. I compagni e le compagne di scuola non la salutavano e neppure lei faceva un passo in tal senso. Disconfermata socialmente Rosa; Alias e Ariel conquistarono un loro spazio d'esistenza.
A noi sembra che scarabocchiare sia una delle più comuni e frequenti esperienze dissociative oltre ad essere una dimostrazione esemplare della nostra molteplicità identitaria. Al telefono, a scuola, sul lavoro, durante una qualche riunione, mentre una parte di noi è assorbita nell'impegno di routine, un'altra configurazione identitaria s'impossessa del braccio e traccia, sovrappensiero, i suoi suggestivi grafismi. Scarabografie che sorprendono e a volte inquietano la stessa persona che le ha tracciate.
Una dissociazione profonda, durante la quale una parte non sa bene cosa stia facendo l'altra, anche se l'automatismo grafico dello scarabocchio ordinario sembra scaturire proprio da un'esigenza delle nostre diverse identità di mettersi in comunicazione tra di loro.
Solitamente lo scarabocchio si limita a sciogliere un grumo di tensione, a costruire il sentiero di un momentaneo allontanamento, di una leggera assenza, non di rado, tuttavia, esso insorge per svolgere una funzione integrativa, soprattutto nei momenti in cui una condizione afflittiva può mettere in fuga, e disperdere lontano, ogni parte di noi stessi.
"Quando sono in ufficio ed il contesto è irrimediabilmente noioso ricorro a due tipi di scarabocchi: mi accade di scrivere sequenze numeriche in ordine geometrico e questo mi aiuta ad isolarmi, oppure disegno delle forme chiuse dal contorno ondulato, ciò accade quando ho bisogno di mantenere la presenza a me stessa, di focalizzarmi. A me piace chiamarle: forme appaganti".
Cogliendo il suggerimento dell'autrice di alcuni degli scarabocchi in esposizione potremmo definire 'forme appaganti', per la loro funzione di salvaguardia dell'integrità psicofisica della persona, quelle forme elementari (scarabogrammi elementari) come il cerchio, il quadrato, la spirale, il punto, la linea, il sole radiato, per citarne solo alcune, che noi usiamo di frequente negli scarabocchi.
La ricercatrice americana Rhoda Kellogg ha analizzato più di un milione di scarabocchi, metà dei quali realizzati da bambini sotto i sei anni. La Kellogg ha notato che ci sono degli scarabocchi fondamentali, delle tracce grafiche elementari, che ricorrono nei bambini, negli adulti di varie culture e nelle raffigurazioni dell'arte rupestre. Ciò l'ha indotta a sostenere che ci sono meccanismi neurologici innati che permettono di produrre e percepire le costanti di forma degli scarabocchi. Una teoria simile, anche se non identica, a quella Junghiana degli archetipi, le matrici simboliche comuni a tutta l'umanità che originano da istinti innati ed ereditari.
Le ricerche sull'emicrania del neurologo Oliver Sacks aggiungono un'ulteriore suggestione a quanto già detto. Le allucinazioni visive caratterizzanti l'aura emicranica propongono stelle, motivi reticolari e a scacchiera, forme alveolari, poligonali, oppure complesse forme arrotondate e a spirali. Forme analoghe, aggiunge Sacks, appaiono negli stati di addormentamento o nei fenomeni allucinatori di persone costrette alla deprivazione sensoriale, come i carcerati. Queste costanti di forma evidenziate da Oliver Sacks in alcuni stati allucinatori sono le stesse che noi creiamo con gli scarabocchi. Sacks afferma che esse sono di vitale importanza perché necessarie al cervello per conservare la sua organizzazione, ed alla persona per mantenere la sua integrità.
Nelly un bel giorno della sua vita incontra con stupore i suoi stessi scarabocchi. C'è questo volto sorridente di una bambina che la sua mano traccia instancabilmente, ovunque, nelle più impensate circostanze. Un'eruzione di segni, o meglio un'iterazione incontrollata dello stesso segno. E lo scarabocchio la rimanda a un sogno della notte precedente, quando le è apparsa una bambina bionda che, con infinita dolcezza, si è rivolta a lei e le ha detto: sarà femmina. Qualche tempo dopo gli scarabocchi e il sogno, Nelly si sottoporrà ad alcune analisi e queste le confermeranno la gravidanza. Molte donne, come molti studiosi delle esperienze oniriche, sanno che in sogno può essere annunciata la gravidanza. Nel caso di Nelly ciò è accaduto anche attraverso uno scarabocchio tracciato più volte sovrappensiero durante le conversazioni al telefono. Come se una configurazione identitaria particolarmente interessata avesse voluto dare alle altre e più distratte configurazioni identitarie, in anteprima, il lieto annuncio.
Come il sogno anche lo scarabocchio svolge una funzione d'elaborazione e comunicazione delle identità dissociate che fondano la nostra stessa differenza. E offre, quindi, l'opportunità di guardarlo e, senza alcuna pretesa ermeneutica, di mettersi in sua presenza al solo fine di essere maggiormente presenti alla propria complessità. Un esercizio che senz'altro irradierà benessere in tutto il territorio della nostra vastità.

SCRIZIONI IR-RITATE
Le risorse creative nel malessere della normalità.
Dagli scarabocchi ai graffiti.

La cooperativa Sensibili alle foglie informa i propri soci, l'area di collaboratori, e gli operatori culturali maggiormente interessati, che a Roma dal 25 novembre al 7 dicembre presso la Biblioteca Rodari in via Olcese, 28 (Tor Tre Teste) si terrà la mostra dal titolo: "Scrizioni ir-ritate, le risorse creative nel malessere della normalità. Dagli scarabocchi ai graffiti", Curata dalla cooperativa e promossa dall'Assessorato alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale, per il Lavoro, Dipartimento XIX periferie, del Comune di Roma.
Lunedì 25 novembre ore 17 interverranno: Luigi Nieri, assessore del Comune di Roma, Nicola Valentino, cooperativa Sensibili alle foglie, Anna Maria Piemonte, storica dell'arte.