La via del council

Intervista di Barbara Divita con Susanna Knittel

Ho sempre visto nel cerchio una geometria perfetta, forse per l'armonia evidente che regala l'assoluta assenza di angoli, di spigoli, forse perché sono sempre stata un'appassionata studiosa delle epopee nate intorno alla tavola rotonda, le sue origini, i suoi cavalieri. Nessuna gerarchia, se siedo prima io sono più importante, ma maleducato, se lascio sedere un altro sono beneducato, ma visibilmente meno importante, la morbidezza della rotondità mette più facilmente in fuga almeno qualche piccolo dubbio dell'ego. Quindi mi è sembra già una buona partenza. Così si può cominciare a lavorare. È facile che nonostante le quattro regole base ci si apra con difficoltà all'ascolto, a me così è successo, è facile che in un primo tempo ci si impegni di più a pensare quale sarà il nostro intervento e come potrà stupire, divertire, commuovere gli altri, a me così è successo, ma ho avuto fiducia. Ben presto le storie hanno cominciato veramente ad intersecarsi, le immediate piccole avversioni si sono sciolte man mano che la percezione dell'altro diventava più reale, più concreta, e la massa di granito interiore che conosce a malapena la comunicazione con se stesso, ha cominciato a sperare.
Questa intervista con Susanna è nata il giorno dopo il seminario di council che si è svolto a Roma lo scorso aprile.

Barbara Divita


D: Com'è avvenuto il tuo incontro con il council?
R: Circa dodici anni fa, stavo attraversando un periodo della vita in cui mi sentivo spinta in diverse direzioni, senza sapere quale mi appartenesse. Lessi il testo di un docente, Jack Zimmerman, co-autore con Virginia Coyle del libro "The way of council".
Lo chiamai e dall'altra parte del filo la sua voce disse: "Sembra che tu abbia delle domande molto profonde" e io sentii: "Ah, qualcuno mi ascolta." Pochi mesi dopo, decisi di recarmi all'Ojai Foundation, dove la pratica del council aveva avuto origine ed era stata praticata(sperimentata o seguita) per vent'anni.

D: La tua vita è cambiata, e in che modo?
R: Mi sentii come se avessi fatto ritorno a casa, in un luogo in cui tutte le domande potevano finalmente trovare una risposta e non ero l'unica. ad avere questa sensazione Molte altre persone erano in cerca di nuove vie. Vivere a contatto con la terra(andrebbe spiegato oppure non si capisce) e insieme ad altri mi diede un senso di connessione che non avevo mai provato prima. In comunità, cominciai a comprendere come il mio comportamento, i miei modi influissero sugli altri e compresi anche che mi aggrappavo a concetti su come la vita dovesse essere, e questi concetti interferivano nell'essere presente alla vita così com'è.

D: Puoi dirci qualcosa sull'origine storica del council?
R: Il council è una pratica molto antica. Le persone si sedevano insieme attorno al fuoco, come nella tradizione dei nativi americani. Si fa menzione del council nell'Iliade di Omero, usano il council i quaccheri, molte culture tribali, i palestinesi, i monasteri tibetani, è presente nella cultura hawaiana. Nel council, le persone si incontrano alla fine della giornata e si raccontano delle storie e si riuniscono anche per prendere delle decisioni attraverso la narrazione di storie. All'inizio de "La via del council", vi è una storia meravigliosa di un ragazzino che si mette a sedere in council con gli anziani della sua tribù (*). Devono prendere la decisione molto importante se vendere la terra che da sempre appartiene alla tribù. Il ragazzino siede e ascolta tantissime storie finché il council si conclude. Il ragazzino chiede a un anziano cosa sia successo e comprende che la decisione viene presa non votando, ma attraverso il racconto delle persone di come arrivarono con la famiglia a quella terra, di come vi facessero dei picnic, cacciassero e sedessero a guardare il tramonto. C'era così tanto amore per quella terra. Era chiaro che non era possibile venderla.

D: Cosa imparare, cosa prendere da questa antica pratica?
R: Qualcosa accade quando evochiamo la geometria del cerchio in modo cerimoniale. Un intero gruppo di persone si rilassano insieme, per ascoltarsi profondamente, si crea un campo che sembra stimolare altre vie di conoscenza, ritorniamo a profondi ricordi personali e collettivi, spesso sorprendenti.
Talvolta le persone ci chiedono: "Perché copiare un'altra tradizione?" Si tratta più che altro di un'evoluzione, rispettiamo gli antenati e contemporaneamente includiamo tecniche di dinamica di gruppo.

D: Cosa si vuole raggiungere con il council, qual è l'obbiettivo?
R: Il council crea una connessione comunitaria, apre modi alternativi di guardare il mondo. Sostiene la costruzione di relazioni più soddisfacenti e contribuisce a una migliore efficienza in situazioni lavorative. Nelle scuole, il council bilancia il curriculum accademico. Insegna l'intelligenza emotiva, la collaborazione di gruppo, la risoluzione di conflitti, l'auto-espressione, è un antidoto al comportamento violento.

D: E i sogni?
R: I sogni, le storie della notte, non hanno sempre un senso, mi piace usare il linguaggio simbolico e sensuale delle immagini, un genere diverso di informazione per arricchire ed espandere la coscienza.

D: Come cambia la nostra vita quotidiana?
R: Aumenta la tolleranza per la nostra comune umanità, diveniamo più liberi, fiduciosi e accettanti. Una donna, che aveva fatto esperienza di council, mi ha raccontato di essersi inaspettatamente ritrovata ad ascoltare una sua cognata da cui si era sempre sentita distante. Riusciva ad ascoltarla senza farsi distrarre dai suoi stessi giudizi ed essere così capace di esprimere la sua percezione della situazione. Si era dissolta la barriera. Mostrare di più di se stessi diventa una cosa positiva, abbiamo il coraggio di abbandonare la chiacchiera sociale per conversare rivelando i sentimenti, l'incertezza, la passione.
Il council tende a portarci dove abbiamo più bisogno di dirigere la nostra crescita.

D: Talvolta capita di sedere in council con persone di diversi paesi che parlano altre lingue. Com'è possibile capire tutti?
R: Talvolta, parlo perfettamente la lingua e capisco tutto, ma c'è un altro modo: nel council mi lascio portare dall'atmosfera che si è creata, comprendo perché mi apro alla qualità della voce, del timbro, mi apro per vedere e ricevere il linguaggio del corpo, la luce nella stanza, i suoni dall'esterno, i miei sensi sono vigili. Leggo le facce, tengo gli occhi aperti in attesa di risposte. E comprendo a un livello molto profondo cosa sta dicendo l'altro, ascolto il cuore, come quando sedevo con donne palestinesi e israeliane. Le donne palestinesi parlavano prima in arabo, poi si traducevano in ebraico, le donne israeliane parlavano ebraico o inglese, la profondità della comunicazione, lacrime e risate, poi danzare insieme, era molto toccante.

D: Come continuare a praticare il council nella vita quotidiana?
R: C'è il council e il counseling. Nel counseling cerchiamo un altro per averne consigli, aiuto e sostegno.
Nel council ci ascoltiamo a vicenda, usciamo dall'individualità dell'essere soli con la propria vita, perdiamo la paura di guardare in faccia i problemi, impariamo ad essere onesti con noi stessi, impariamo che le emozioni forti non ci uccidono e lentamente il nostro contorto meccanismo di controllo ha un'occasione per trasformarsi in un comportamento produttivo.
Credo profondamente nella geometria del cerchio. Tutte le grandi forze nel mondo sono iscrivibili in un cerchio, la terra è un cerchio, i pianeti si muovono in cerchio, il sole è un cerchio, la luna, perfino i mari si muovono in modo circolare, e quando ci riuniamo in council ci armonizziamo con questo movimento e nasce una certa magia. La chiamiamo magia, perché non la comprendiamo, ma forse, siccome ci reputiamo individui, diventa tanto complicato cooperare con la vita. Se osserviammo i sistemi, e copiamo i grandi sistemi naturali che funzionano da millenni, forse può funzionare anche per noi.

D: E come si fa?
R: Se passiamo da sistemi gerarchici a sistemi circolari collaborativi e co-creativi, agiamo dalla percezione che siamo parte di una più ampia visione, che ha un suo personale ordine. Per me significa anche prestare molta attenzione al corpo e ai suoi bisogni. Riconoscere il mio legame con i grandi sistemi e rallentare in modo che le attività cellulari possano conservarsi alte.

D: Cos'è il council?
R: Essenzialmente il council è la riunione di alcune persone in un cerchio. Un facilitatore introduce il processo e spiega quattro principi molto semplici. Viene poi posta una domanda e un oggetto, chiamato talking piece (oggetto parlante), passa di mano in mano. Solo la persona che tiene l'oggetto parla, tutti gli altri si impegnano ad ascoltare con tutto il corpo. Il council non si limita all'esplorazione verbale. Infatti, il passo successivo è chiamato council in movimento e consiste in elementi di improvvisazione e di movimento per creare un contesto per relazioni a più livelli.
Le persone possono anche partecipare col loro silenzio. Il council può diventare un atteggiamento, un modo di affrontare e di vivere la vita.
Nel gruppo sono essenziali la creazione del setting, l'apertura iniziale del campo e il rispetto dei quattro principi.

D: Qual è il ruolo, l'importanza del talking piece?
R: Quando l'oggetto parlante fa il giro è meraviglioso tenerlo, vederlo, sentirne la consistenza, concentrarsi sul suo odore, da dove viene: ci apre al processo della storia e dà potere a chi parla.

D: Possiamo guarire col council? Come?
R: Siamo tutti esseri umani, siamo un sistema fisico e siamo parte di altri sistemi. "Siamo un corpo nel corpo del mondo" e quando sediamo in council, ce ne ricordiamo, spesso sorge un senso di interezza e si apre una soglia verso una più vasta intelligenza.

D: Per quanto tempo va praticato il council?
R: Non c'è un termine della pratica; più a lungo la coltiviamo, più ci sintonizziamo con i livelli sottili nostri e degli altri e più diveniamo capaci di ascoltare al di là delle parole.

D: Ci racconti una storia sul council?
R: Una mia amica, una vera bellezza da ragazza, si sposò giovane con un uomo attempato, si trasferì in America e si creò una famiglia. Stava col marito da trentaquattro anni quando scoprì il council. Iniziarono a sedere insieme, e allora, per la prima volta, lei sentì che erano veramente capaci di comunicare, di rivelare l'uno all'altra parti più profonde di sé, proprio poco prima che lui morisse.


Traduzione di Chandravimala Candiani
* La versione in italiano di questa storia è stata apparsa sul n. 1 del 2000 di Buone notizie.