La religiosità della vita: Antonietta Potente

di Giorgio Piacentini


Ringraziamo Suor Rosetta Colombo della congregazione delle suore di carità di Maria Bambina per lo spirito ecumenico con cui ha subito acconsentito alla pubblicazione di questo articolo sulla nostra rivista.
Agile e vibrante come il colibrì, sacro alla sua nuova terra di Bolivia: così è apparsa, nel gesto e nel pensiero, Antonietta Potente a coloro che l'hanno incontrata dall'8 al 12 luglio all'Oasi Bartolomea di Lamezia Terme. Le suore di carità di Maria Bambina hanno amorevolmente ospitato nella loro casa circa quaranta persone, laiche e religiose, convenute per dialogare con la teologa domenicana che, nata nel 1958 a Pietra Ligure, dal 1994 ha scelto di vivere, di insegnare e di predicare in quella terra del continente latino americano.


DALLA PIRAMIDE AL CERCHIO

Il tema in discussione era "la religiosità della vita", a capovolgere il concetto più strutturato di "vita religiosa". Fin dall'inizio infatti Antonietta ha chiesto di lasciare gli spazi privati, costruiti nel tempo anche come difesa e di cercare nuovi spazi (non organizzati in modo piramidale e quindi gerarchico) dove possa circolare la diversità ed emergere la profondità dello spirito. L'idea era quella di abbattere i muri, di sciogliere i piccoli gruppi, di tenere insieme laici e religiosi, per condividere la comune sete della vita. Se torniamo a sederci tutti in circolo, possiamo scoprire la nostra identità profonda, ripensare la storia, fuggire dall'egocentrismo del potere (questa sarebbe realmente la "fuga mundi") e infine accorgerci (e stupirci) della religiosità della vita, che è profondamente abitata dal mistero (salmo 78, 1-7).
A partire da questo assunto i gruppi dei partecipanti hanno lavorato e si sono interrogati sul significato di questa circolarità nella vita quotidiana (familiare, sociale e politica) e sulla passione che può mettere in movimento uomini e donne che scoprono la religiosità della vita.

LE TENTAZIONI E LE RISPOSTE

Vivere il Vangelo con semplicità e pochi mezzi è una scelta mistica e politica che consente di incontrare oggi il Signore della vita. Di fronte alla tentazione di guardare indietro o di fissarsi in noi stessi (la contemplazione è sempre rivolta verso fuori), la risposta è spostarsi dai luoghi del potere verso il "deserto" delle periferie, cercando di capirne e di assumerne la mentalità. Quel deserto è il luogo dove oggi risuona la parola di Dio, dove far memoria di Gesù, ma anche il luogo dell'alternativa e della protesta. Ciò vale per tutti, non solo per i piccoli gruppi, che fanno questa scelta.
Di fronte alla tentazione dell'idolatria la risposta è la solitudine, nella quale si può recuperare dignità e responsabilità e quindi costruire la comunità, come appartenenza all'unico Signore.
Di fronte alla tentazione di possedere la verità, le persone, le cose, il potere, la risposta è la pazienza, la capacità di aspettare le persone, le cose, gli avvenimenti. Perché dobbiamo sempre sapere tutto, essere sempre avanti?
Di fronte alla tentazione di escludere gli altri sentendosi un'elite, la risposta è la misericordia, che accoglie e include.
Di fronte alla tentazione di accomodarsi in un cristianesimo ricco e ozioso, la risposta è il lavoro solidale con la creazione, con l'umanità, con Dio, il lavoro etico. Ecco i sacramenti di una vita armoniosa, ecco l'esperienza della sobrietà e della nudità di Cristo e della cura gli uni degli altri (Isaia 11, 6-9).

I VOTI

Recuperando questo sentimento comunitario della vita, Antonietta ha riletto i voti della vita religiosa, non come privilegio, ma come necessità della storia di oggi. Il sogno di Dio tarda a realizzarsi e questo chiede a tutti una profonda sensibilità, che ci faccia essere più umani e più giusti. I voti sono da leggere nella prospettiva di Michea (6, 6-8), dove povertà diviene praticare la giustizia, castità amare con tenerezza e obbedienza camminare umilmente con Dio. I voti uniscono, non dividono, non sono fini, ma mezzi per costruire uno stile di vita armonioso (Salmi 22, 26; 116, 14: 35, 18; 40, 7-10). I voti ispirano un atteggiamento di liberazione: ci rendono liberi e liberano la storia. Gesù ha indicato uno stile di vita centrato su relazioni e responsabilità nuove dentro la storia per far condividere il sogno di Dio (Ebrei 11).
In questo sogno, scopriamo che l'economia di Dio non è accumulazione, ma spreco e abbondanza: Dio non sa contare. Nessuna cultura dice che la povertà è bella; bello è vivere con poco e far circolare le cose, le idee, le energie positive e mangiare lo stesso pane: il superfluo non dovrebbe esistere. Così il nostro voto di povertà e di giustizia diventa più chiaro.
La castità non va caricata di sensi moralistici né concentrata sulla sessualità, ma è il desiderio di tessere relazioni nuove e nonviolente in una storia che soffre tanta violenza tra persone e tra popoli. Come puoi amare Dio che non vedi, se non ami le creature che vedi? Così la castità è anche rispettare il diritto dei popoli di amare Dio con il volto che hanno conosciuto nella loro camminata storica.
Obbedienza è ascoltare intensamente (ob-audire), ascoltare per rispondere, per riprendere l'iniziativa, per obbedire alla vita (mentre le politiche neoliberali tolgono ai popoli e alla persone l'iniziativa). In Marco 8, 27-29 c'è la domanda che si riferisce alla nostra obbedienza: noi chi diciamo che Egli sia? Gesù è obbediente perché guarda, ascolta, riconosce (Luca 10, 21) ciò che Dio ha rivelato ad altri, così dobbiamo fare anche noi.

UN TEMPO DI TRANSIZIONE E DI PREPARAZIONE

Da questo punto in avanti lo stile di vita che Antonietta propone è diventato più chiaro a tutti i partecipanti. Non dobbiamo restare puri a tutti i costi, rischiando così di restare "fuori" dalla vita, ma dobbiamo essere "presenti" nella nostra storia. Il testo di Luca 23, 50-56 è eloquente. Giuseppe d Arimatea chiede il corpo di Cristo, lo cala dalla croce, lo avvolge in un lenzuolo e lo depone in una tomba scavata nella roccia. Le donne osservano tutto e tornano a casa a preparare aromi e oli profumati.
Tra la morte e la resurrezione di Cristo c'è un tempo di transizione. È un tempo psicologicamente lungo e preziosissimo, un tempo silenzioso e solenne. Protagoniste di questo tempo sono le donne. Esse restano, vivono la transizione, fanno "ponte" tra morte e resurrezione. Anche noi dobbiamo restare presenti in questo tempo di transizione e di attesa, che è la nostra storia. È un tempo importante: silenzioso perché parla la quotidianità, di solitudine perché qualcuno manca alla tavola comune, di mistero perché dobbiamo riscoprire chi siamo. La divina presenza è il corpo di Gesù morto. Oggi i corpi parlano e non possiamo trattare con orrore gli aspetti di morte della storia. Infine è un tempo di solidarietà perché ci riuniamo in cerchio intorno a qualcuno e a qualcosa.
Questo è il nostro tempo, un tempo bello: un tempo di attesa, ma anche di preparazione. Come le donne intorno al sepolcro, dobbiamo "restare", facendo gesti che preparano qualcosa, gesti che celebrano e amano, gesti che testimoniano la nostra fede nel presente e che preparano la resurrezione. Le donne preparano profumi e aromi, cose preziose che nella Bibbia hanno un grande significato simbolico, celebrano un rituale d'amore, aspettano ancora lo sposo, tornano alla casa, luogo di familiarità e di quotidianità. Sono gesti di spreco, in sintonia con l'abbondanza di Dio. La bellezza e l'abbondanza non sono mai separate dalla forza della giustizia: "kalos kai agatos", bello e buono. Il corpo morto è il sacramento di una storia che sta soffrendo l'ingiustizia, i profumi vogliono ridare dignità a un corpo maltrattato (Luca 10, 33-34).
In questa prospettiva, i partecipanti hanno l'impressione che sia veramente possibile riconciliarsi con la dimensione più umana della vita, con il corpo, con il dolore. Non servono i trionfalismi: noi abbiamo sempre bisogno di grandi eventi, di grandi maestri e così non vediamo le piccole luci della resurrezione che videro gli apostoli e le donne: le bende e la tomba vuota. Nel sogno di Dio tutto è invece prezioso. Venite e vedete: solo seguendo il Signore sapremo restare, aspettare, preparare, senza scandalizzarci delle sofferenze della vita.

RIENTRARE NELLA QUOTIDIANITÀ

Allora possiamo rientrare in quello che è il senso più vero della nostra vita: la quotidianità. Si coglie la religiosità della vita stando dentro al quotidiano, non da soli. Non troviamo risposte a tutte le nostre domande se non guardando la realtà e ascoltandoci vicendevolmente. In Geremia 1, 11 Dio chiede a Geremia cosa vede e la risposta è: "un ramo di mandorlo". Spesso ciò che vediamo non corrisponde a ciò che ci aspettiamo, perché dobbiamo imparare a vedere la realtà. In Matteo 11, 2-3 la risposta di Gesù a chi domanda se è lui colui che deve venire è "riferite ciò che udite e che vedete". Ci sono domande della vita che non ottengono risposte, ma fanno aprire gli occhi, come quella di Maria in Luca 1, 34 "com'è possibile" o che stupiscono come quella di Elisabetta in Luca 1, 43 "a che debbo che la madre del mio Signore venga a me?"
La quotidianità è la casa, fatta di cose semplici, non rifugio, ma punto di partenza per affrontare la vita, per affrontare il male, per ascoltare e sapersi muovere. Qui la vita religiosa di tutti può recuperare le sue radici profonde, fedele a quell'intuizione che rende possibile una vita alternativa. "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo casa presso di lui" (Giovanni 14, 23).
Questo riscatta la dignità della storia: la storia vuol diventare casa e il sogno di Dio per la storia è fare casa. La storia si trasfigura se noi facciamo gesti di familiarità e di casa, come il gesto del perdono, che può fermare il male. Se comprendiamo cosa è mancato veramente all'altro, possiamo perdonare. Non si tratta di riconciliazioni facili, in situazioni che continuano a essere ingiuste. La casa bisogna costruirla, fare dei gesti, creare situazioni di familiarità. Il sogno di Dio passa attraverso persone che vivono la storia come casa loro e la domanda etica è: "come posso abitare la Tua casa? Dove stai Tu?" (non "cosa debbo fare?"). La quotidianità è il luogo dove il Signore abita, non il mondo del potere e della dominazione. Nascere di nuovo è possibile, perché il sogno di Dio è grande.
Su queste parole il gruppo si è sciolto. Tutte le sovrastrutture che si erano stratificate in ciascuno di noi sembrano cadute e rimane solo la nostalgia per quel sogno e la nostra responsabilità davanti a Dio, agli altri, alla storia.


Questi sono i ricordi, le impressioni molto personali e quindi limitate di un partecipante a questo straordinario incontro.
Chi vuole attingere alle fonti originali può rivolgersi al Centro interconfessionale per la pace di Roma (CIPAX) che ha effettuato la registrazione delle giornate e che provvederà presto a inserire nella propria documentazione web il testo trascritto.

CIPAX
via Ostiense 152
00154 Roma
telefono e fax: 06.57287347
e-mail: cipax@romacivica.net
http://www.romacivica.net/cipax