Immaginate
una terra calda, tropicale. Attorno a voi migliaia di palme dipingono
il cielo con il verde scuro delle loro grandi foglie.
Immaginate tante casette, molte capanne con il tetto grigio di paglia,
seminascoste dalla vegetazione, e parecchi animali in libertà.
Immaginate infine centinaia di donne, uomini e bambini dallo sguardo vitale
e sereno che in questo ambiente vivono, orgogliosi della loro terra, desiderosi
di condividere la loro gioia per la vita con musiche, canti e balli. Ebbene,
questo è il villaggio, questi sono i villaggi che io ho incontrato
nel Tamil Nadu, India sud-orientale.
Ma andiamo per ordine.
Da alcuni anni sono uno dei volontari dell'Assefa (Association for Sarva
Seva Farms), una organizzazione non governativa indiana che si occupa,
secondo principi gandhiani, di sviluppare economicamente e socialmente
i villaggi più poveri dell'India. Pensate: con i suoi straordinari
progetti di sviluppo integrato ed eco-sostenibile interviene ora in migliaia
di villaggi, gestisce centinaia di scuole, coinvolge quasi due milioni
di persone. Tutto è organizzato e svolto da personale indiano.
In Italia agisce invece l'Assefa Italia O.N.G. che partecipa, soprattutto
finanziariamente, alle attività della sorella indiana, e propone
varie iniziative educative di sensibilizzazione, rivolte ai nostri concittadini,
grandi e piccoli.
Tutta questa attività ebbe inizio oltre trent'anni fa ed è
stata ideata e voluta da un sanremese, ancora vivente e ora centenario,
di nome Giovanni. La sua storia ha veramente dell'incredibile.
Giovanni, un professore di filosofia ormai in pensione, avvertì
in modo sempre più evidente - e fu una rivelazione - che noi non
siamo ciò che diciamo di essere, ma in realtà siamo quello
che facciamo per gli altri e per il mondo e decise così, a sessantatré
anni, di andare in India per cercare di contribuire concretamente alla
causa del Sud del mondo e restituire dignità ai più poveri
di quel grande Paese.
Dopo un'avventura avvincente, con incontri e situazioni misteriose decisamente
straordinarie, Giovanni riuscì a creare l'Assefa, liberando così,
dalla miseria e dalla malattia, un'enorme moltitudine di persone e restituendo
speranza verso il futuro ai più umili.
Ma torniamo ai villaggi.
È vero, mi hanno sempre affascinato, ovunque li abbia incontrati:
in Cina come negli altopiani del Tibet, in Africa, sulle Ande americane
e nella foresta amazzonica, e soprattutto nella mia amata India. Ricordo
bene la prima volta che mi recai in quel Paese per visitare alcuni nostri
progetti. Mi innamorai di un piccolo villaggio, K. Pudur, a circa cinquanta
chilometri dalla città sacra di Madurai, famosa per il suo spettacolare
tempio induista. Quando arrivai a K. Pudur era il tardo pomeriggio di
una tiepida giornata. Salivamo a piedi tra le capanne e le casette del
villaggio ricevendo, come doni preziosi, il sorriso dei bambini che ci
circondavano e lo sguardo amichevole di donne ed anziani. Gli uomini più
giovani erano ancora al lavoro nei campi, a parte alcuni che battevano
l'orzo, raccogliendone poi i chicchi in grandi ammassi. Intorno dominava
il caratteristico paesaggio tropicale, fatto di campi verdissimi e palme
da cocco.
Ricordo anche che l'aria era così piacevole, con una temperatura
perfetta e un gradevole profumo di erbe e piante, da rasserenare la mia
mente avvolta nei pensieri.
Già, tutto lì esprimeva una gioiosa semplicità e
gli occhi delle persone avevano quell'ingenuo candore che da noi è
possibile notare solo sui volti dei bambini più piccoli. Il rosso
del tramonto rendeva il tutto ancora più suggestivo: "Dio
- pensavo - questo è davvero un piccolo paradiso!".
Sapevo che sarei tornato a K. Pudur: lo consideravo ormai un fatto scontato,
inevitabile.
Infatti ci sono tornato nell'estate del 2001 e in quel villaggio, da solo,
ho trascorso circa un mese della mia vita, un mese bellissimo, tra la
gente e con la gente, cercando di capire e di imparare una vita diversa,
cercando di cogliere, nelle dinamiche di quella comunità, le parole
del Mahatma Gandhi e di Vinoba Bhave, il suo discepolo prediletto. La
mia idea era quindi molto semplice: il 'sogno di Giovanni' trovava la
sua felice realizzazione in una comunità come K. Pudur, e lì
avrei potuto raccogliere un'enorme mole di informazioni, parlando con
la gente, facendomi raccontare miti e leggende, passato e futuro, nostalgie
e speranze.
Pensavo presuntuosamente di conoscere Gandhi, ma posso dire che solo a
K. Pudur l'ho incontrato veramente. Certo, K. Pudur è un villaggio
speciale, l'Assefa lo ha portato ad uno sviluppo completo con la grande
scuola dove tutti i bambini possono studiare, con una capillare assistenza
sanitaria, con i programmi di emancipazione femminile, con micro-attività
economiche che consentono a tutte le famiglie di raggiungere livelli dignitosi
di reddito. La vita non è più misera ormai da molti anni,
ma è ancora semplice. È questo il grande miracolo che l'Assefa
è stata in grado di compiere: è riuscita a trasformare la
povertà in semplicità. Un passaggio fondamentale, lo stesso
che c'è tra la tristezza e la gioia. Questo passaggio è
stato accompagnato da una formazione importante delle competenze sociali,
da uno sviluppo umano basato sulle grandi intuizioni di Gandhi e di Vinoba.
Villaggi, eco-villaggi, dove lo sviluppo sostenibile è realtà,
l'autosufficienza in gran parte raggiunta, la cultura della nonviolenza
interiorizzata. Dove è forte il senso della solidarietà.
Dove si vive e si agisce localmente e si pensa al mondo. Dove gli sguardi
sono rivolti al cielo e ai fratelli.
Dentro il villaggio ho avvertito un reale desiderio di conoscere e di
crescere, ma anche di gioco, di divertirsi, ridere e scherzare. Ecco,
la spontaneità, ho sentito la sincerità attorno a me. O
forse, più semplicemente, ho toccato la vera umanità, quella
che solo s'intravede nel nostro mondo di pubblicità dove la parola
d'ordine è consumare.
Il mio itinerario nel mondo dei villaggi mi ha convinto così che
la riscoperta di una semplicità antica, quella del villaggio appunto,
appare forse l'unica chiave per aprire la porta di un benessere umano
autentico.
Un dubbio però mi assaliva ogni volta che tornavo dai miei viaggi
in India: e se questa convinzione fosse solo un'impressione, o forse la
reazione emotiva alle spietate contraddizioni che si possono osservare
nelle grandi metropoli indiane, dove l'inferno dantesco sembra realizzarsi
in una umanità così desolatamente disperata?
Sono tornato ancora in India lo scorso settembre, questa volta con alcuni
testimoni eccellenti: sei miei studenti del Liceo dove insegno, tra i
14 e i 19 anni di età. Anche i loro giovani occhi dovevano vedere
ciò che io avevo scoperto e confermare o meno le mie impressioni.
La loro testimonianza diventava a questo punto fondamentale.
Sei ragazzi in gamba hanno così percorso con me oltre duemila chilometri,
tra il Tamil Nadu e il Kerala, alla scoperta dei villaggi Assefa, incantati
dal fascino irresistibile dell'India più vera. Abbiamo realizzato
uno splendido documentario e i ragazzi hanno scritto dei diari di viaggio
bellissimi, annotando ogni giorno le loro impressioni.
Alessia scrive: "Mi sembra incredibile ciò che ho visto oggi.
Gli abitanti di questa terra abbronzata sono l'incarnazione della voglia
di vivere. La fortuna è stata generosa con loro, una vita con un
contorno di filosofia e tanto verde da contemplare, l'equilibrio economico
e un'atmosfera fiabesca che tinge ogni situazione. Il villaggio mi ha
trafitto con la sua serenità".
Enrico aggiunge: "La gentilezza e la generosità del popolo
dei villaggi è sconvolgente. Questo luogo sembra totalmente distaccato
dal resto del mondo, la pace e la serenità del villaggio appaiono
irreali".
Lara si sofferma sui bambini di K. Pudur: "I bambini di K. Pudur
giocavano, gridavano e si rincorrevano. Sono uscita e ho gioito con loro.
Non puoi impedire al sorriso di un bambino di contagiarti. In questo viaggio
sto scoprendo il potere universale, senza spazio e senza tempo, di un
sorriso. Qui è il dono più grande e prezioso".
Potrei continuare: i ragazzi hanno guardato l'India dei villaggi con occhi
curiosi, affascinati e sinceri. Io non ho interferito sulle loro sensazioni
eppure, sorprendentemente, anche loro sono arrivati, pur nella naturale
ingenuità di ragazzi, alle mie stesse conclusioni, ed ora siamo
diventati spiriti affini.
Gandhi diceva: "Il futuro sarà dei villaggi. Si baseranno
sulla semplicità, povertà e lentezza volontaria, cioè
su un tempo di vita coscientemente rallentato, nel quale l'accento sarà
posto sull'autoespressione, attraverso un più ampio ritmo di vita,
piuttosto che attraverso più veloci pulsazioni nell'avidità
e nel lucro". E aggiunge: "Nei villaggi ci sarà a sufficienza
per i bisogni di tutti, ma non per l'avidità di ognuno". La
nostra esperienza nei villaggi indiani dell'Assefa sembrerebbe dare ragione
a queste profetiche parole del Mahatma.
Ho trentotto anni e spero che il destino mi offrirà altre opportunità
per approfondire la mia ricerca sui villaggi, magari con la conoscenza
e lo studio di nuove esperienze significative in altre zone del mondo.
Per ora ho capito che un mondo diverso è davvero possibile e sono
stato veramente fortunato ad averlo incontrato e ad averlo anche condiviso
con sei giovani studenti. Lasciatemi concludere questo articolo con alcune
parole scritte proprio dal più giovane tra questi, un ragazzo di
soli quattordici anni: "Nei villaggi la gente è così
bella! Bella. Tutto è in equilibrio. Pace. Amore. Gioia. Vita".
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